martedì 14 luglio 2020

Manifesto della Buona Destra

Finalmente sta per essere riempito il vuoto per l'assenza nell'offerta politica nazionale di una Destra Moderata, Liberale, Europeista e Antagonista rispetto al "Partito Unico della Spesa". E' la Buona Destra e questo è il suo Manifesto

Il mio intervento alla conferenza stampa di presentazione del Manifesto della Buona Destra:

mercoledì 13 maggio 2020

La giusta spinta per la ripresa del Paese
Da pochi giorni è partita la fase due della lotta al corona virus, ma
ci sono ancora tante, troppe cose poco chiare sia nelle misure già
prese per il rilancio dell'economia, sia in quelle in itinere, mentre
continua imperterrito il bombardamento di notizie e commenti che
creano allarme e confusione, specie nei confronti delle presunte
manchevolezze delle istituzioni Europee.
Ho pertanto scritto questo articolo, già pubblicato su diversi media
on line e il 7 maggio dal quotidiano La Sicilia, non solo per
riepilogare tutti gli strumenti messi a disposizione dall'Unione
Europea e dalla BCE e conseguentemente dal governo, ma anche per
individuare le scelte più opportune in merito al corretto utilizzo di
questa enorme massa di risorse che sta per arrivare nel nostro Paese,
se si vuole davvero fermare il declino economico e sociale che da
decenni affligge l'Italia.

Segue testo dell'articolo. Per leggere lo stesso articolo pubblicato
su La Sicilia cliccare sul link a fine pagina:
 
La vera sfida delle fase 2 per la ripresa economica
 
Di Nicola Bono
 
L’avvio il 4 maggio della fase 2 è un momento importante perché non
solo costituisce il necessario passo per l’auspicato ritorno alla
normalità, ma anche perché solo così potrà essere calcolato il danno
reale causato ai vari comparti del sistema economico dal Covid-19 e
quindi valutare le misure di ristoro. Non appare infatti conducente la
generale pressante richiesta di aiuti economici senza distinguere tra
la fase 1 dell’emergenza, che comporta l’assistenza agli infetti e la
fornitura di provvidenze e liquidità alla cittadinanza e alle imprese,
per assicurarne la capacità di riaprire, e la fase 2 della ripresa
economica.
 
La ripresa comporta infatti strumenti diversi, non solo la necessaria
quantificazione delle perdite effettive settore per settore,
considerato che ci sono comparti dell’economia che non ne hanno
subito, ma anche e soprattutto le strategie di intervento, dalle quali
sarebbe opportuno escludere ipotesi di provvidenze a pioggia, che non
servono certamente a fare sistema, e non fanno neanche onore a chi li
concede.
 
Ma quali strumenti di sostegno ha dato l’Unione Europea fino ad ora in
ordine alla pandemia?
 
Prima del 23 aprile aveva già dato con la BCE la disponibilità di
circa 3.000 miliardi di € di cui 1120 miliardi, 240 dei quali solo
per l’Italia, per contrastare la speculazione sullo spread con
l’acquisto dei titoli del debito pubblico dei Paesi UE in difficoltà,
e 1.800 Miliardi di € per finanziare famiglie e imprese con problemi
di liquidità, mentre la Commissione UE aveva disposto la sospensione
dei limiti imposti dal Patto di Stabilità, che ha consentito al
governo di emanare il decreto di marzo “Cura Italia” con 25 Miliardi
di € e 350 miliardi di liquidità, il decreto di aprile che ha
aumentato la liquidità di altri 400 Miliardi di € per i prestiti con
garanzia di stato alle imprese, ed ora il decreto di maggio in
preparazione di 55 miliardi di €, che hanno già prodotto alcuni
significativi risultati. Nella riunione del 23 aprile, in aggiunta a
tali misure, i leader europei hanno approvato la strategia delle
quattro azioni a sostegno della ripresa economica dei Paesi Europei
consistenti nel Fondo SURE, e cioè una misura per sostenere le
indennità di cassa integrazione destinate ai lavoratori, che per
l’Italia vale 17 Miliardi di €, i finanziamenti ai progetti d’impresa
della BEI, che vale per l’Italia circa 30 miliardi di € e il MES che
vale per l’Italia 36 Miliardi di €.
 
Su quest’ultimo punto fino al 24 aprile alla Camera dei Deputati si
sono registrate forti critiche da parte dei gruppi sovranisti, contro
una misura che in effetti non presenta alcuna delle problematicità che
le vengono a torto imputate. Infatti l’attuale proposta di accesso ai
36 miliardi del MES non riguarda neanche lontanamente l’esperienza
della Grecia, e non solo perché è un prestito totalmente privo di
condizionalità, a parte il solo obbligo di essere utilizzato per le
spese sanitarie, ma perché nei fatti si tratta di un prestito
conveniente con cui potere effettuare molte delle spese per migliorare
strutturalmente la sanità italiana e dare maggiore sicurezza alla
salute dei cittadini anche in futuro.
 
Infatti il presunto rischio MES è una balla spaziale, perché il
meccanismo del commissariamento della Troika può scattare solo in
presenza della manifesta impossibilità del Paese debitore di
restituire le somme ricevute in prestito, quindi di importi tali da
evidenziare il rischio di default. Mai potrebbe accadere una cosa del
genere per soli 36 Miliardi di €, che costituiscono una cifra
insignificante perfino per la Grecia. L’insieme delle misure concesse
dall’UE e già approvate il 23 aprile comporta per l’Italia un aiuto
complessivo di circa 80 miliardi di €, oltre ai 240 Miliardi della
BCE, ma la vera novità è la quarta misura, consistente nella inedita
creazione di un fondo che, per impegno della Presidente della
Commissione UE Ursula Von der Leyen, dovrà operare nell’ordine di non
meno di altri 1.500-2.000 Miliardi di €, di cui almeno 200 Miliardi di
€ per l’Italia e che conterrà misure sia di credito, che contributi a
fondo perduto per la ripresa.
 
Uno strumento che è quanto di più vicino possa esistere ad un
eurobond, chiamato Recovery Fund.
 
Una misura con garanzia della Commissione UE, chiesta dai paesi più in
difficoltà, che di fatto è stata accolta all’unanimità, compresa la
Signora Merkel, che si è limitata ad osservare l’esigenza di una
Europa più omogenea quanto a spese e a tasse, sottintendendo
l’opportunità di un maggiore rigore sulla spesa.
 
Ed è questo il punto vero della questione e cioè che il governo passi
subito alla urgente definizione delle strategie sia di impiego dei
fondi, che di controllo della loro gestione, perché è in procinto di
arrivare una massa enorme di risorse per consentire al nostro sistema
economico di guarire dai danni della pandemia, ma anche e soprattutto
dai vecchi vizi e disfunzioni che ne hanno minato le capacità di
crescita virtuosa. Una battuta in voga negli anni novanta paragonava
l’economia italiana ad una Ferrari che correva con il freno a mano
tirato a causa di una burocrazia, a tutti i livelli istituzionali, che
impedisce alla macchina amministrativa di funzionare e che quindi
impone due interventi prioritari: la semplificazione massima delle
procedure e l’introduzione di controlli efficaci per evitare abusi e
illegalità. Una semplificazione da estendere anche allo strategico
sistema del credito, tra i più farraginosi del mondo e responsabile
dei ritardi nella concessione della liquidità, malgrado le garanzie
statali. E ancora l’esigenza di selezionare un pool di manager con
capacità e competenze per fornire alla pubblica amministrazione il
supporto per una strategia di utilizzo efficace ed integrale delle
risorse per potenziare il sistema produttivo nazionale, a partire dal
superamento del gap infrastrutturale, tecnologico e digitale del
Paese. Questi alcuni esempi non esaustivi delle possibili
finalizzazioni delle risorse, per far sì che l’Italia non perda
l’appuntamento per invertire la tendenza al declino. Solo così
l’Italia, dopo trent’anni di stentata crescita del PIL alla media
dell’1% l’anno, a causa delle sciagurate politiche clientelari
adottate dai vari governi, potrà finalmente rimuovere quel freno a
mano tirato e riprendere liberamente la sua corsa e riconquistare
tutti i primati che le sue oggettive capacità le consentiranno, in
linea con le più forti economie d’Europa e del mondo.
 

venerdì 17 aprile 2020

Conoscere le ragioni degli egoismi e saperle superare, così si costruisce la solidarietà Europea.

Leggere di Salvini che esalta l’eutanasia del Parlamento ungherese
perché ha votato a larga maggioranza i pieni poteri al suo amico
Orbán, vedere lo spettacolo del vicepresidente della Camera dei
Deputati Italiana, esponente di FdI, rimuovere la bandiera dell’Unione
Europea dall’asta e riporla “per ora” nel cassetto, compiendo un atto
gravissimo di vilipendio ad una entità istituzionale di cui l’Italia è
parte essenziale, copiato da decine di sindaci italiani, leggere sui
social affermazioni di odio e disprezzo nei confronti dei partner
europei, evidenzia le vere intenzioni della Destra sovranista italiana
di strumentalizzare il confronto sugli eurobond per l’emergenza
covid-19, per rafforzare la strategia cinica e perdente fondata
sull’Italexit. Un grave errore, non solo perché esaspera il rapporto
con i Paesi del Nord, ma anche perché non considera che le ragioni del
loro dissenso sugli eurobond sono di duplice natura e cioè la prima
riguarda la tradizionale inaffidabilità della gestione della finanza
pubblica di alcuni Paesi del Sud Europa, tendenti a utilizzare il
debito pubblico a scopi clientelari ed elettorali, la seconda è
l’assenza di una strategia compiuta di gestione delle risorse da
utilizzare con gli stessi eurobond. Riconoscere queste riserve non
vuol dire che hanno ragione, ma che occorre, piuttosto di insultare,
cercare le giuste modalità per affrontare questi due aspetti,
altrimenti non ci potrà essere alcun accordo e l’Unione Europea può
rischiare l’implosione. Per trovare una intesa, innanzitutto bisogna
chiarire che l’Europa, a parte l’imperdonabile gaffe della Lagarde, ha
sin da subito fatto tutto ciò che era possibile fare per onorare la
solidarietà tra Paesi europei. Quando, con l’intervista della Von der
Leyen del 21.03.2020, furono evidenziati da parte della BCE lo
stanziamento di ben 1.120 miliardi di € per impedire speculazioni
sullo spread, altri 1.800 mld di € per sostenere il credito a famiglie
e imprese e soprattutto, da parte della Commissione Europea, la
sospensione a tempo indeterminato del patto di stabilità, cosa mai
fatta in precedenza, per giorni i sovranisti sono rimasti silenziosi e
quasi annichiliti. Ma, non appena il Consiglio Europeo ha rinviato la
decisione sugli eurobond, immediatamente è scoppiata la canea delle
critiche e degli insulti. Non è parso vero a chi fa politica con la
demagogia trovare l’occasione per ribaltare un fatto di sostanziale
solidarietà e trasformarlo in un falso abbandono degli italiani al
loro destino. Se a ciò si aggiunge che il governo italiano non ha
immediatamente attivato le consistenti provvidenze già autorizzate
dall’UE, ed è conseguentemente esplosa la protesta sulla mancanza per
molti cittadini di risorse per la sopravvivenza, ecco spiegata la
strategia del cinismo, finalizzato a rompere e non ad aggiustare il
rapporto con l’Europa. Ma qualcuno ha mai provato in Italia a vedere
le contraddizioni delle politiche di alcuni Paesi del Sud Europa, dal
punto di vista dei paesi del Nord? Il fatto di avere subito l’ingresso
della Grecia nell’eurozona grazie ai bilanci dello Stato falsificati
per anni? O di apprendere l’incredibile creatività delle pensioni
greche, concepite per dispensare soldi a chiunque, senza collegamento
con alcuna contribuzione? Ovvero assistere alle allegre politiche
finanziarie dei governi italiani, in perenne ritardo sulle riforme di
risanamento del bilancio (la riforma delle pensioni la Germania
l’attuò nel 2002, l’Italia solo nel 2011, salvo poi introdurre la
deroga di quota 100), o gli 80 € di Renzi e le ipocrite battaglie per
strappare le “flessibilità”, che altro non erano che autorizzazioni a
creare ulteriore debito pubblico a scopi elettorali? Tutto ciò ha
costituito o no motivi di fastidio che hanno avvelenato la natura di
una convivenza che non è stata vissuta dagli europei del Nord in
maniera paritaria? Ecco perché a tutti i costi occorre che almeno sul
piano delle regole questa volta e per il futuro ci sia chiarezza e non
si conceda spazio a furbizie e speculazioni di alcun tipo. Non giova
quindi a nessuno un dibattito in cui esponenti politici propongano di
distribuire 1.000 € a testa al mese a chiunque e senza criteri, ovvero
come ha fatto Salvini di stabilire che occorrono almeno 200 mld di €
per il rilancio dell’economia. Perché non 300 o 150 mld? A già, perché
c’è un “almeno”, il che vuol dire che intanto partiamo con questi e
poi si vedrà, senza limiti ma soprattutto senza alcuna idea di quanto
sia in effetti il vero fabbisogno. Qualcuno può pensare che questa sia
una base ragionevole di trattativa? O piuttosto non appare una
conferma dei comportamenti demagogici e irresponsabili del passato? Ma
soprattutto è un comportamento da statisti responsabili che sanno che
l’economia deve ripartire ad ogni costo, ma non in maniera casuale e
con finanziamenti a pioggia, ma bensì mirati e funzionali alla
ripresa? Ecco perché è profondamente sbagliato ragionare confondendo
gli interventi per l’emergenza, che sono assistenza
sanitaria e finanziaria per garantire la sopravvivenza nel momento
difficile della quarantena, e gli interventi per la ripresa, che
comportano innanzitutto la conoscenza dei tempi esatti del blocco
dell’attività, la cui durata incide sui costi, che variano da settore
economico a settore economico, e quindi da una rigorosa
quantificazione delle risorse necessarie a garantire il rimborso dei
danni subiti e le risorse necessarie per ripartire. La soluzione che
garantirebbe tutti è quindi che alla prossima riunione dell’Eurogruppo
si definisca l’accordo formale dell’impegno sull’emissione degli
eurobond, per affrontare insieme lo strategico tema della ripresa
economica, subordinandone la quantificazione alla definizione di un
piano di costi e risorse necessarie, settore per settore, con
controlli efficaci sull’andamento e attuazione della strategia. Solo
così si può salvare l’Unione Europea, la cui implosione e il cui
fallimento nel rilancio dell’economia colpirebbe senza distinzione
tutti i Paesi, sia del Nord che del Sud. Infatti la Germania e gli
altri Paesi del Nord, con metà Europa incapace di riprendere
velocemente l’attività produttiva, come farebbero per gli
approvvigionamenti e a quali mercati si rivolgerebbero? La ripresa
dell’economia o è continentale, o tutti ne subiranno le conseguenze,
primo fra tutti l’euro che si difende solo se tutti i Paesi che lo
hanno adottato ritorneranno alla piena produttività e non certo con le
misure di austerity fini a sé stesse. Ecco perché non ha senso, al di
là dei beceri calcoli elettorali dei noti seminatori di odio, la
polemica tra europei, che invece devono capire che per eliminare una
volta per sempre queste spiacevoli incomprensioni, che nessuna lettera
di scuse potrà mai superare, l’unica soluzione è riprendere e
completare il processo di costituzione della federazione degli Stati
Uniti d’Europa e creare quell’Europa Nazione a tutela di tutti i
popoli finalmente uniti del vecchio continente, puntando al
patriottismo Europeo, che è l’unico sovranismo che merita di essere
celebrato e condiviso.
Per leggere lo stesso articolo pubblicato sul quotidiano La Sicilia cliccare sul link:


https://bit.ly/2XE6Twf

venerdì 24 gennaio 2020

La crisi libica è la prova della inadeguatezza delle politiche sovraniste e populiste nella difesa della sovranità dei popoli europei.
Vi invito a leggere l'articolo che segue pubblicato ieri sul quotidiano La Sicilia su questo delicato tema.


Per legger l'articolo scaricare l'allegato o cliccare sul link

sabato 14 dicembre 2019

A proposito di Fake News: IL MECCANISMO EUROPEO DI STABILITA’

Carissimi,
Sul Meccanismo Europeo di Stabilità, acronimo MES, c’è tutto un
fiorire di commenti sempre più
truci e preoccupati sulle conseguenze per i cittadini circa la sua
l’eventuale approvazione.
Peccato che ogni intervento evidenzi una serie di elementi aventi in
comune più che l’esigenza di
chiarire la verità, quello strumentale di dimostrarne la pericolosità,
per accentuare la polemica
contro l’UE e l’Euro.
Infatti:
 I critici hanno tentato di spiegare il MES come se fosse un’intesa
nata nel giugno scorso,
mentre in effetti si tratterebbe solo di un paio di modifiche delle
modalità di attuazione di un
accordo che esiste ed opera dal 2012, che sono state concordate a
dicembre 2018 e a giugno
del 2019 e cioè in piena era del Governo Lega-M5S;
 Dov’erano al tempo i baldi vice presidenti del Consiglio adesso così
preoccupati? A fare comizi
in giro? A fare selfie e a cercare voti? Nessuno che leggeva le carte?
Così è stato difeso il
popolo Italiano da questi cavalieri del club di “Prima gli Italiani”?
E se anche i capi erano
distratti, come hanno potuto i loro partiti non accorgersi di un così
grande pericolo?
 Nessuno ha spiegato cosa sia precisamente il MES e, in particolare a
cosa si riferisca il
termine stabilità. Si riferisce alla stabilità del sistema monetario
dei 19 Paesi che hanno
aderito all’Euro Zona e che hanno adottato l’Euro come moneta di conto
e per la quale hanno
in base al loro PIL una percentuale di responsabilità nella difesa del
suo potere d’acquisto.
L’Italia ha una responsabilità del 17,7 % che in rapporto al Fondo
salva stati corrisponde ad
una quota di 125 Miliardi di €, che l’Italia non deve sborsare
materialmente, ma solo garantirne
il pagamento in caso di insolvenza del richiedente, salvo che per 14
MLD già versati. Questa
rete protettiva è necessaria perché l’adozione dell’Euro è il primo
caso della storia di valuta di
conto emessa senza un governo unitario a governarla. Gli accordi di
Maastricht altro non
sono che le regole auree per garantire la stabilità dell’Euro e il MES
il sistema per riparare
i guasti di quei Paesi membri che, discostandosi da quei parametri,
mettono in discussione la
tenuta della moneta, con danno e conseguenze anche per i Paesi virtuosi.
 Senza le regole di Maastricht, che fanno agitare i sovranisti in
merito al presunto furto di
sovranità, l’Euro sarebbe già fallito e con esso gli indiscutibili
benefici sulla riduzione del costo
degli interessi pagati sul Debito Pubblico dall’Italia. Ma soprattutto
cosa accadrebbe se l’Italia
uscisse dall’Euro, come incoscientemente teorizza il Leghista Borghi,
Presidente della
Commissione Bilancio della Camera e, purtroppo non solo lui?
Esattamente l’immediato crollo
della credibilità del sistema economico e finanziario italiano e,
conseguentemente, la fuga dei
sottoscrittori del nostro debito pubblico: in una parola un totale
fallimento dello stato, stile
Argentina, nel giro di poche settimane, che determinerebbe
l’inevitabile rovina di tutti gli Italiani.
 La politica del muro contro muro contro l’Europa oltre ad essere
sbagliata e sterile, è
ingiustificata, perché nessuno vuole comandare sull’Italia, ma
semplicemente molti paesi
europei, virtuosi perché hanno fatto le riforme a suo tempo e prima
dell’Italia, pagando alti
prezzi sociali, guardano con preoccupazione alla nostra incapacità di
governare l’economia e i
relativi processi produttivi e, soprattutto, di tenere sotto controllo
i conti pubblici, attesa la
tendenza ormai ultra quarantennale della nostra classe dirigente, di
qualsiasi colore
politico, di riuscire a fare politica unicamente ricorrendo
all’aumento costante del debito
pubblico. Chi difende il presunto diritto dei governi di fare debiti
senza progettualità né
capacità di creare sviluppo e lavoro, ma solo in nome del principio di
essere padroni a casa
propria, non difende i diritti dei cittadini, ma gli interessi e gli
errori di una classe politica
incapace e clientelare e, quindi, contribuisce alla rovina del popolo.
In questo modo, ciò che
viene teorizzato è di fatto la legittimazione delle cattive politiche
di chi ha fatto strame di
questo Paese sin dai tempi della I Repubblica, che non a caso inventò
questo sciagurato
sistema di finanziamento del clientelismo, determinando il costante
aumento del debito
pubblico per ottenere i consensi elettorali, scaricando cinicamente i
costi e le conseguenze
di questa aberrante decisione sulle generazioni future;

 Questa ideologia è il “Pensiero Unico della Spesa” che fu teorizzato
nel 1977 dopo il
sequestro Moro, e fu utilizzato per evitare, con elargizioni e mance,
che il messaggio eversivo
delle Brigate Rosse venisse raccolto dai cittadini. Un sistema che è
stato il “vaso di Pandora”
per la politica della I repubblica, quella che in meno di 10 anni ha
portato il Paese al dissesto, e
che non ha mai più smesso di operare, adottato senza alcuna eccezione
da tutti i governi
alternatisi dalla fine degli anni ’70 del secolo scorso fino ad oggi,
tant’è che il debito che era al
60% in rapporto al PIL nel 1977, ha raggiunto l’attuale 135% e corre
verso il 136%, con la
benedizione di Destra, Sinistra e Centro, il che la dice lunga sul
senso vero di questa assurdità
che ci sta impoverendo tutti. Basta analizzare le polemiche sulle
leggi finanziarie per capire
che in un Paese che cresce da 40 anni a ritmi inferiori della metà a
quelli degli altri Paesi UE, i
litigi tra i partiti vertono solo su come spendere i danari e non
sull’adozione di strategie e
obiettivi per aggredire i nodi del declino economico e sociale.
 Questa è la vera tragedia che vive l’Italia e su cui, senza bugie
propagandistiche ciascuno si
deve interrogare per capire come si può servire davvero il Bene Comune. E quindi
chiariamo alcune cose.
 L’Italia non è affatto penalizzata dalla riforma del MES del giugno
2019, perché, come spiego
nell’articolo allegato, si tratta di modifiche parziali e limitate che
nulla di grave aggiungono alle
intese precedenti rimaste inalterate. Ciò non impedisce ovviamente che
non si abbia tutto il
diritto di esprimere perplessità su alcuni aspetti di queste parziali
e limitate modifiche, perché
non si comprende nel merito il senso di una riforma che sottoponga i
Paesi non in linea con gli
accordi di Maastricht, prima di accedere agli aiuti, di ristrutturare
il proprio debito pubblico
con la fissazione di una penale sul valore nominale dei titoli. Ciò
comporta una diminuzione del
valore nominale e una perdita netta per i detentori, ma soprattutto la
conseguenza di
penalizzare ulteriormente un Paese già in difficoltà per la maggiore
onerosità della gestione del
debito, a causa proprio della ristrutturazione. Se l’obiettivo del MES
riformato rimane “Salvare
gli Stati” e anche aiutare le banche dell’Euro Zona, l’obbligo della
ristrutturazione del debito
per accedere agli aiuti sembra andare nella direzione opposta, perché
non creerebbe in tal
modo stabilità, ma il contrario. Ma se questo sembra un errore
oggettivo, di cui non si
comprende la ratio, che andrebbe sanato con la sua rimozione, le
polemiche che sono state
armate su questo punto appaiono esagerate e strumentali. Sia perché
non implica immediate
conseguenze perché l’Italia non ha bisogno del MES, e anche perché può
difendersi con il
diritto di veto. Ma soprattutto perché la questione riguarda uno
scenario che diventerà
operativo a partire dal 2024. Tutto ciò che ha alimentato la polemica
sul MES quindi è solo
strumentale esagerazione a scopo denigratorio dell’UE. Ed è grave
perché non va a tutela degli
interessi generali del Paese e degli Italiani. Anche l’ipotesi di
presunto intervento per risanare i
bilanci delle Banche tedesche, è vissuta come un’ulteriore ragione di
fastidio, specie se
paragonata con la presunta penalizzazione delle banche Italiane, che
hanno risanato in parte i
loro bilanci senza gli aiuti dell’UE. Sarebbe bene in tal senso
ricordare che sono state le Banche
Italiane, in occasione della grande crisi dei “titoli spazzatura”, a
rifiutare e a non volersi
avvalere dell’intervento dell’UE, forse per non scoprire del tutto le
voragini prodotte in
decenni di gestioni allegre e tenere nascoste le vergogne, per non
allarmare la clientela e
rovinare la reputazione del sistema bancario nazionale, al contrario
delle banche di quasi tutti i
Paesi dell’Euro Zona, che invece approfittarono largamente degli
aiuti. Quindi chi utilizza a
scopo propagandistico e con intento provocatorio questa questione,
farebbe meglio ad
approfondire il tema prima di continuare nell’intento denigratorio dei
patner europei, che non
sono santi, ma neanche i demoni che vengono descritti.
In ogni caso essendo l’Unione Bancaria un tema in itinere, ed essendo
il “Fondo di
Risoluzione Unico Europeo” previsto operativamente per l’anno 2024,
forse lo scontro
politico potrebbe essere gestito in Italia e in Europa con maggiore
serenità e giudizio,

limandolo meglio nelle parti incomprensibili e ingiustamente
penalizzanti. Ecco perché è
più che evidente che stando così le cose, e non essendoci imminenti
rischi di dovere
affrontare procedure di risanamento per nessuno, essendo l’accordo
stato definito a
giugno, un rifiuto dell’Italia a firmarlo non appare oggettivamente
motivato e rischia di
essere pagato a caro prezzo, essendo il rifiuto a firmare una chiara
manifestazione anti
Euro e anti UE, che riporterebbe un clima di fibrillazione sui mercati
e conseguente
aumento esponenziale dello spread. C’è un tempo per discutere e un
tempo per firmare. A
meno che non si voglia proprio la rottura con l’UE e l’uscita
dall’Euro, meglio se gestita da
una governo Giallo-Rosso?
Bene quindi è stato il rinvio a gennaio della firma sul MES, ma alla
scadenza l’accordo va
firmato, fermo restando il diritto dell’Italia di riservarsi
nell’immediato futuro e nell’ambito
delle trattative sull’Unione Bancaria, di riproporre le modifiche alla
modifiche del giugno
2019, incoerenti con le finalità del MES.
Se poi vogliamo affrontare il tema delle responsabilità è
assolutamente inaccettabile che
nessuno al governo abbia capito i presunti rischi e le implicazioni
che avrebbero
comportato le modifiche del MES, e che gli stessi soggetti che avevano
responsabilità di
governo, dopo che avevano avallato tutto, o peggio non avevano capito
niente, oggi
possano intestarsi una battaglia “a difesa degli Italiani”.
Ovvero sapevano tutto e hanno consapevolmente deciso di ignorare le modifiche
dell’accordo, magari per stemperare il clima conflittuale dei mesi
precedenti e rassicurare i
patner sulla lealtà all’UE del governo Giallo-Verde?
Forse non lo scopriremo mai, ma ciò che conta, in conclusione, è che
nessuna delle poche
modifiche del giugno 2019 danneggia l’Italia nell’immediato e ci sono
le condizioni e i
tempi per correggere la norma equivoca e contraddittoria che imporrebbe la
ristrutturazione del debito per accedere agli aiuti del MES, e che in
ogni caso l’Italia ha gli
strumenti per difendersi a partire dal diritto di veto, che detiene
insieme solo a Germania e
Francia. Ma il punto politico della questione, su cui nessuno dei
partiti di maggioranza e di
opposizione si pronuncia è l’esigenza di rimuovere le cause di
debolezza dell’Italia e, in
particolare l’urgenza assoluta di mettere mano al risanamento del
Debito Pubblico e
conseguentemente alle politiche, da decenni drammaticamente
inesistenti, di rilancio della
produttività e di incremento del PIL e dell’occupazione, ovviamente a
prescindere dal MES
e come misura fondamentale per fermare il declino. Ma questi obiettivi
non saranno mai
possibili se la politica nazionale continuerà ad obbedire alle
scellerate logiche del
“Pensiero Unico della Spesa” e continuerà l’abuso dell’aumento del
debito pubblico, per
perpetuare l’osceno “voto di scambio” con gli elettori, che è rimasta
l’unica scelta
ideologica dei protagonisti della politica Italiana negli ultima
quaranta anni. Questa è
l’unica vera minaccia al popolo italiano, che non proviene dall’Europa
ma dalle scelte
sbagliate di una classe politica incapace e inadeguata, che ha
abdicato al suo ruolo di
responsabilità al servizio del “Bene Comune” ed avviato un sistema di effimera
sopravvivenza e fino ad esaurimento delle capacità di indebitamento,
che porta solo
all’autodistruzione di questo Paese, condannato al tragico destino del
cupio dissolvi.

Queste riflessioni sono introduttive al commento sul MES, pubblicato
sia sul Quotidiano la
Sicilia del 28.11.2019, che su il Patto Sociale del 27/11/2019, in cui
tento di chiarire i
termini corretti della vicenda.

Nicola Bono

Per leggere l'articolo cliccare su:    https://bit.ly/2qVQ2ak