mercoledì 13 maggio 2020

La giusta spinta per la ripresa del Paese
Da pochi giorni è partita la fase due della lotta al corona virus, ma
ci sono ancora tante, troppe cose poco chiare sia nelle misure già
prese per il rilancio dell'economia, sia in quelle in itinere, mentre
continua imperterrito il bombardamento di notizie e commenti che
creano allarme e confusione, specie nei confronti delle presunte
manchevolezze delle istituzioni Europee.
Ho pertanto scritto questo articolo, già pubblicato su diversi media
on line e il 7 maggio dal quotidiano La Sicilia, non solo per
riepilogare tutti gli strumenti messi a disposizione dall'Unione
Europea e dalla BCE e conseguentemente dal governo, ma anche per
individuare le scelte più opportune in merito al corretto utilizzo di
questa enorme massa di risorse che sta per arrivare nel nostro Paese,
se si vuole davvero fermare il declino economico e sociale che da
decenni affligge l'Italia.

Segue testo dell'articolo. Per leggere lo stesso articolo pubblicato
su La Sicilia cliccare sul link a fine pagina:
 
La vera sfida delle fase 2 per la ripresa economica
 
Di Nicola Bono
 
L’avvio il 4 maggio della fase 2 è un momento importante perché non
solo costituisce il necessario passo per l’auspicato ritorno alla
normalità, ma anche perché solo così potrà essere calcolato il danno
reale causato ai vari comparti del sistema economico dal Covid-19 e
quindi valutare le misure di ristoro. Non appare infatti conducente la
generale pressante richiesta di aiuti economici senza distinguere tra
la fase 1 dell’emergenza, che comporta l’assistenza agli infetti e la
fornitura di provvidenze e liquidità alla cittadinanza e alle imprese,
per assicurarne la capacità di riaprire, e la fase 2 della ripresa
economica.
 
La ripresa comporta infatti strumenti diversi, non solo la necessaria
quantificazione delle perdite effettive settore per settore,
considerato che ci sono comparti dell’economia che non ne hanno
subito, ma anche e soprattutto le strategie di intervento, dalle quali
sarebbe opportuno escludere ipotesi di provvidenze a pioggia, che non
servono certamente a fare sistema, e non fanno neanche onore a chi li
concede.
 
Ma quali strumenti di sostegno ha dato l’Unione Europea fino ad ora in
ordine alla pandemia?
 
Prima del 23 aprile aveva già dato con la BCE la disponibilità di
circa 3.000 miliardi di € di cui 1120 miliardi, 240 dei quali solo
per l’Italia, per contrastare la speculazione sullo spread con
l’acquisto dei titoli del debito pubblico dei Paesi UE in difficoltà,
e 1.800 Miliardi di € per finanziare famiglie e imprese con problemi
di liquidità, mentre la Commissione UE aveva disposto la sospensione
dei limiti imposti dal Patto di Stabilità, che ha consentito al
governo di emanare il decreto di marzo “Cura Italia” con 25 Miliardi
di € e 350 miliardi di liquidità, il decreto di aprile che ha
aumentato la liquidità di altri 400 Miliardi di € per i prestiti con
garanzia di stato alle imprese, ed ora il decreto di maggio in
preparazione di 55 miliardi di €, che hanno già prodotto alcuni
significativi risultati. Nella riunione del 23 aprile, in aggiunta a
tali misure, i leader europei hanno approvato la strategia delle
quattro azioni a sostegno della ripresa economica dei Paesi Europei
consistenti nel Fondo SURE, e cioè una misura per sostenere le
indennità di cassa integrazione destinate ai lavoratori, che per
l’Italia vale 17 Miliardi di €, i finanziamenti ai progetti d’impresa
della BEI, che vale per l’Italia circa 30 miliardi di € e il MES che
vale per l’Italia 36 Miliardi di €.
 
Su quest’ultimo punto fino al 24 aprile alla Camera dei Deputati si
sono registrate forti critiche da parte dei gruppi sovranisti, contro
una misura che in effetti non presenta alcuna delle problematicità che
le vengono a torto imputate. Infatti l’attuale proposta di accesso ai
36 miliardi del MES non riguarda neanche lontanamente l’esperienza
della Grecia, e non solo perché è un prestito totalmente privo di
condizionalità, a parte il solo obbligo di essere utilizzato per le
spese sanitarie, ma perché nei fatti si tratta di un prestito
conveniente con cui potere effettuare molte delle spese per migliorare
strutturalmente la sanità italiana e dare maggiore sicurezza alla
salute dei cittadini anche in futuro.
 
Infatti il presunto rischio MES è una balla spaziale, perché il
meccanismo del commissariamento della Troika può scattare solo in
presenza della manifesta impossibilità del Paese debitore di
restituire le somme ricevute in prestito, quindi di importi tali da
evidenziare il rischio di default. Mai potrebbe accadere una cosa del
genere per soli 36 Miliardi di €, che costituiscono una cifra
insignificante perfino per la Grecia. L’insieme delle misure concesse
dall’UE e già approvate il 23 aprile comporta per l’Italia un aiuto
complessivo di circa 80 miliardi di €, oltre ai 240 Miliardi della
BCE, ma la vera novità è la quarta misura, consistente nella inedita
creazione di un fondo che, per impegno della Presidente della
Commissione UE Ursula Von der Leyen, dovrà operare nell’ordine di non
meno di altri 1.500-2.000 Miliardi di €, di cui almeno 200 Miliardi di
€ per l’Italia e che conterrà misure sia di credito, che contributi a
fondo perduto per la ripresa.
 
Uno strumento che è quanto di più vicino possa esistere ad un
eurobond, chiamato Recovery Fund.
 
Una misura con garanzia della Commissione UE, chiesta dai paesi più in
difficoltà, che di fatto è stata accolta all’unanimità, compresa la
Signora Merkel, che si è limitata ad osservare l’esigenza di una
Europa più omogenea quanto a spese e a tasse, sottintendendo
l’opportunità di un maggiore rigore sulla spesa.
 
Ed è questo il punto vero della questione e cioè che il governo passi
subito alla urgente definizione delle strategie sia di impiego dei
fondi, che di controllo della loro gestione, perché è in procinto di
arrivare una massa enorme di risorse per consentire al nostro sistema
economico di guarire dai danni della pandemia, ma anche e soprattutto
dai vecchi vizi e disfunzioni che ne hanno minato le capacità di
crescita virtuosa. Una battuta in voga negli anni novanta paragonava
l’economia italiana ad una Ferrari che correva con il freno a mano
tirato a causa di una burocrazia, a tutti i livelli istituzionali, che
impedisce alla macchina amministrativa di funzionare e che quindi
impone due interventi prioritari: la semplificazione massima delle
procedure e l’introduzione di controlli efficaci per evitare abusi e
illegalità. Una semplificazione da estendere anche allo strategico
sistema del credito, tra i più farraginosi del mondo e responsabile
dei ritardi nella concessione della liquidità, malgrado le garanzie
statali. E ancora l’esigenza di selezionare un pool di manager con
capacità e competenze per fornire alla pubblica amministrazione il
supporto per una strategia di utilizzo efficace ed integrale delle
risorse per potenziare il sistema produttivo nazionale, a partire dal
superamento del gap infrastrutturale, tecnologico e digitale del
Paese. Questi alcuni esempi non esaustivi delle possibili
finalizzazioni delle risorse, per far sì che l’Italia non perda
l’appuntamento per invertire la tendenza al declino. Solo così
l’Italia, dopo trent’anni di stentata crescita del PIL alla media
dell’1% l’anno, a causa delle sciagurate politiche clientelari
adottate dai vari governi, potrà finalmente rimuovere quel freno a
mano tirato e riprendere liberamente la sua corsa e riconquistare
tutti i primati che le sue oggettive capacità le consentiranno, in
linea con le più forti economie d’Europa e del mondo.
 

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